
In questa seconda categoria troviamo cantautori come Umberto Bindi, Bruno Lauzi e Gino Paoli, ai quali si sarebbero aggiunti l’istriano Sergio Endrigo e il livornese Piero Ciampi. In virtù di un simile approccio, la prima generazione di cantautori italiani, la cosiddetta “scuola genovese”, andò evidenziando due diverse tendenze testuali: da un lato ci fu chi seguì più risolutamente una linea engagé, dall’altro ci fu chi preferì privilegiare i temi più legati alla sfera privata. Una confezione musicale in linea con le tendenze del momento andava così a coniugarsi con dei testi colti, lirici, ricchi di citazioni letterarie e di riferimenti ai temi del tempo presente. Nasceva, così, un tipo di artista nuovo che doveva divenire tutt’uno con le proprie canzoni, delle quali doveva essere autore (di musica e parole, o per lo meno di una delle due) e interprete.

L’idea dei discografici fu quella di fondere le suggestioni provenienti dalla canzone d’autore francese (gli chansonnier) e statunitense (i folksinger) con quanto negli ultimi anni la canzone d’autore italiana era andata acquisendo grazie alle innovazioni portate da Domenico Modugno. Il termine cantautore fu coniato al principio degli anni ’60 dai dirigenti della RCA-Italia ed andò via via definendo il proprio significato grazie al progressivo interesse della critica, la quale ne evidenziò il carattere tipicamente italiano, tanto che Alessandro Carrera poté sostenere che «la canzone d’autore non è nata in Italia, ma il cantautore si».

Quali sono stati i principali rappresentanti della canzone «impegnata»? Tutto il patrimonio culturale resistenziale e della fase costituente, in ogni modo, si rivela presente nella loro formazione culturale e viene posto al centro delle loro poetiche.

Principalmente quelle legate ai partiti di sinistra: quella socialista, quella comunista e quella anarchica. Quali culture politiche hanno ispirato i cantautori «impegnati»? Alla luce del fatto che la maturazione delle personali poetiche di questi autori avveniva attraverso un sistematico confronto con contenuti e nodi problematici alimentatisi e sedimentatisi nel grande dibattito politico-culturale del Paese, le loro composizioni si riveleranno, negli anni, degli agenti di senso comune storico, dimostreranno cioè di aver saputo concorrere -insieme ai libri scolastici e ai programmi televisivi- ad “insegnare” la storia del nostro Paese ai giovani italiani.

In aperta polemica con la leggerezza dello show business, dunque, il cantautore “impegnato” offriva una proposta musicale tutta centrata sul contenuto ed ostentatamente scevra da elementi legati all’immagine ed alla spettacolarizzazione delle proprie apparizioni pubbliche. Quelli che definisco cantautori “impegnati”, sulla falsariga del cinema colto o del teatro di denuncia, rivolgevano la propria produzione al gruppo umano della sinistra (secondo la definizione di Ernesto Galli della Loggia) e, nello specifico, a quel pubblico giovanile di acculturazione medio alta (spesso coincidente con gli studi liceali e universitari) e politicamente schierato che riconosceva alla cultura una funzione centrale anche nel contesto dell’intrattenimento. Prof. Paolo Carusi, Lei è autore del libro Viva l’Italia. Narrazioni e rappresentazioni della storia repubblicana nei versi dei cantautori «impegnati» edito da Le Monnier: in che modo le canzoni dei cantautori “impegnati” sono divenute pervasivi agenti di senso comune storico?
